Ma l’Europa di Merkozy è già vecchia
«In questo momento mi pare si possa adattare ai leader europei quello che Churchill usava dire a proposito degli americani: si può sempre essere sicuri che facciano la cosa giusta, una volta che abbiano esaurito tutte le altre possibilità». Charles Grant, direttore del Centre for European Reform di Londra, è convinto che mesi di turbolenze e difficoltà per l’Unione troveranno una soluzione alla riunione del Consiglio europeo di Bruxelles, anche se poi riconosce che gli scenari rimangono incerti e che comunque l’accordo comporterà un mutamento radicale nell’organizzazione e nella struttura europea.
«In linea di principio nuovi trattati sono sempre una cattiva idea – prosegue – perché richiedono mesi di trattative preventive e di discussioni per approvarli, ma in questa occasione mi pare che la proposta tedesca di un nuovo trattato sia l’unica possibilità di salvare l’euro».
Perché a suo parere questo trattato dovrebbe funzionare?
Perché si tratta di un ottimo affare per tutti. La Germania ottiene nuove regole di rigore fiscale e un maggiore coordinamento della politica economica, e in cambio offre al resto d’Europa più generosi e agevoli meccanismi di intervento da parte della Banca centrale europea.
E se alcuni stati, come ad esempio la Gran Bretagna, non ci stessero?
Il meccanismo messo in piedi dalla cancelliera Merkel può funzionare per tutti i 27 stati membri, o anche solo per i 17 dell’eurozona. Questa seconda ipotesi è la preferita dai francesi perché da un lato consoliderebbe quell’Europa a due velocità che tanto piace a Sarkozy e dall’altro diminuirebbe notevolmente il ruolo della Commissione, che è sempre stato uno degli obiettivi della Francia sin dai tempi di De Gaulle.
Questa ipotesi di una core-Europe, però, porta con sé due enormi rischi: da un lato infatti si verrebbe a creare una nuova e ristretta Unione che escluderebbe proprio quei paesi – come la Gran Bretagna, la Repubblica Ceca, la Danimarca, la Polonia e la Svezia – che maggiormente hanno una struttura socioeconomica più liberista e competitiva. Ci verremmo quindi a trovare con un club di paesi – che in teoria dovrebbe trainare l’Europa – composto da chi in fondo frena il completamento del mercato unico, bloccando ad esempio la liberalizzazione dei mercati energetici.
Questo imporrebbe un approccio più protezionistico, con conseguente rallentamento della crescita e, probabilmente, un disimpegno di alcuni paesi come la Gran Bretagna per cui il mercato unico sembra ormai essere diventato la principale ragione per rimanerenell’Ue.
Qual è invece il secondo rischio?
Il secondo rischio che vedo è la perdita di un ruolo forte della Commissione. Se infatti si andasse alla creazione di un più stretto coordinamento tra i paesi dell’eurozona, difficilmente questo ruolo potrebbe essere assunto dall’attuale Commissione: non vedo proprio come un rappresentante dei paesi che non fanno parte dell’euro potrebbe imporre la propria impostazione sull’eurozona. Sicuramente, come accusano francesi e tedeschi, in questi ultimi anni Barroso non ha esercitato quella guida che ci si sarebbe aspettati, costringendo Merkel e Sarkozy ad assumere la leadership europea. Ma al tempo stesso vorrei sottolineare che la Commissione è l’istituzione che con più forza difende e promuove l’integrazione europea, al di là degli interessi di corto respiro dei singoli stati nazionali. È stata la Commissione a imporre i temi dei cambiamenti climatici e della sicurezza energetica nella discussione europea, è la Commissione che persegue il rafforzamento del mercato unico, e che ne promuove la competitività anche a scapito dei grandi cartelli.
Infine la Commissione è una garanzia di equilibrio tra gli stati grandi e quelli piccoli: la conseguenza di una diminuzione di ruolo per la Commissione sarebbe inevitabilmente una Unione dominata dalle grandi potenze, meno equa e meno solidale.
Sta dicendo che per salvarsi economicamente l’Unione europea sarà costretta a morire politicamente?
Per la prima volta nella storia dell’Unione e della Comunità prima, ci troviamo nella situazione in cui la Germania è il leader indiscusso, con la Francia costretta a seguirla. Al tempo stesso Italia e Spagna sono in tali situazioni economiche e sociali che sono ai margini della discussione, mentre la Gran Bretagna ha scelto per motivi politici di isolarsi. Nel momento della crisi, quando la crescita di populismo ed euroscetticismo richiederebbe un maggiore e più incisivo ruolo dell’Unione, noi ci troviamo invece nella situazione in cui sta risultando vincente l’Europe des Patries sognata da De Gaulle, con i governi nazionali (specialmente quelli degli stati grandi e forti) che la fanno da padroni. Io credo che la risposta dovrebbe essere in un rafforzamento del community method, l’aspetto sovranazionale dell’Unione, dando maggiori poteri alla Commissione e al parlamento europeo, mentre purtroppo vedo che sta crescendo lo Union method, l’aspetto inter-govenativo, con la centralità del Consiglio europeo. Addirittura l’ex ministro Joschka Fischer ha proposto di creare in alternativa al parlamento europeo direttamente eletto un comitato di parlamentari delle diverse nazioni per controllare le istituzioni dell’eurozona.
Ci vorrebbe uno scatto di reni, una dimostrazione di leadership europea, perché non credo che una volta intrapresa questa strada sarà possibile ridare ruolo e forza alla Commissione e al parlamento, le uniche vere istituzioni dell’integrazione europea.